segunda-feira, 14 de julho de 2014

Caio Giulio Forever - Il culto di Cesare rivive ai Fori




Cesare. Il genio, gli eserciti, la passione, i morti. A centinaia di migliaia. La politica, le donne, gli intrighi, il potere, i patti non scritti che lo rendono vivo, le congiure che lo soffocano. Roma che vince, Roma che cresce. E poi tutto cambia. Il foro, i marmi, i templi, gli usi, le famiglie, i confini, la storia. Quella grande. Cesare: il più illustre tra i figli di Quirino. L'aristocratico che non poteva lasciare com'era ciò che trovava, che aveva l'urgenza di spingersi oltre, per essere il primo, per essere il solo.
Nel bimillenario dalla morte di Ottaviano, suo figlio adottivo ed erede, primo imperatore dei romani, è impossibile ignorare le gesta del dittatore perpetuo. Che gli sta appresso come un brutto pensiero: senza Augusto non c'è impero, ma senza il divo Giulio non c'è Augusto. E forse non ci saremmo nemmeno noi, perlomeno così come ci conosciamo. «Cesare, la cui grande ombra sarà il mondo intero», scriveva Jorge Luis Borges. Ecco, il mondo – senza fanfara, senza mostre, senza giochi di luci, senza assessori e ministri – lo ricorda tutti i giorni, spontaneamente, onorando la sua tomba al Foro Romano. Da oltre 2000 anni. Il culto di Cesare, insomma, è vivo e vegeto – più longevo del Cristianesimo.
Older than Jesus
Al piede del Campidoglio, là dove in estate l'afa e l'arsura si fanno artiglio e in inverno l'umidità stronca le articolazioni dei più aitanti, spunta squallida una tettoia di legno. Intorno le rovine della grande Roma. I turisti, bontà loro, sfilano mansueti. Tra un selfie e un sorso d'acqua, fornita a caro prezzo da uno degli immancabili camion-bar dei Fori Imperiali, pagano pegno ai fasti della lupa. A guardarla bene quella casupola, stretta com'è tra la Curia Ostilia e la ben più maestosa prospettiva del colle Palatino, vien proprio da passare oltre senz'altro. Se poi ti accosti, e sbirci un poco, ci trovi quattro pietre tristi. E qua si potrebbe chiudere la serranda.
Però no. Ogni giorno che Roma mette in terra, a meno che non siano passati da poco – ma proprio poco – gli addetti del parco archeologico per una doverosa ripulita, il tumulo è adornato da fiori, messaggi, monete, a volte persino qualche piccolo dono. Un'immagine che non sfigurerebbe in un tempio indù. Qui riposa la memoria di Caio Giulio Cesare, il divo. Qui ne si perpetua la memoria. Una religione silenziosa, ormai universale, stando a chi nel parco ci lavora ogni giorno. L'uomo che volle farsi dio, e come tale venerato dal popolo di Roma, specie dopo il lascito per via testamentaria di una bella sommetta a ogni singolo cittadino dell'urbe, può dunque riposare in pace: missione compiuta.
«Oh, finalmente se ne parla...». Patrizia Fortini è una donna minuta, elegante, che ama il suo lavoro: dirigere il parco archeologico. Il culto di Cesare è un suo pallino da tempo. Ed è felicissima di poter raccontare la sua storia. «Ho preso servizio nel 1984 e già allora m'imbattei in questo fenomeno. In un certo senso l'ho ereditato dalla direttrice precedente, che pure ne era rimasta affascinata». Quindi ormai parliamo di decenni, no? «Eh sì», risponde con un sospiro Patrizia (ma dove finisce il tempo?). «E guardi, l'afflusso alla tomba di Cesare è costante, in tutti questi anni non si è mai interrotto. Nel tempo abbiamo assistito anche a casi eclatanti. Come quello di una coppia americana che era solita visitare la tomba ogni anno. Lui a un certo punto, purtroppo, muore. La signora salta per così dire un turno ma poi l'anno successivo si presenta puntuale, con una cartolina in mano: in ricordo di Cesare e, ovviamente, del marito».
La aquile di Roma, l'aquila americana. Il nesso è facile, la suggestione chiara. Il potere e l'uso che se ne fa – l'imperium – è un concetto facile da capire negli Stati Uniti, tra le superpotenze che si sono succedute nei secoli la più simile, per certi versi, all'antica Roma. Niente sorprese poi nell'apprendere che tra i fan più sfegatati del divo Giulio ci sono «professori» ma soprattutto «studenti». «Un po' di tutto il mondo ma in particolar modo francesi», spiega la dottoressa Fortini. Andazzo già più curioso. «Spesso, alle idi di marzo, chiedono i permessi, si presentano al Foro con indosso la toga e le corone di alloro sul capo, e in processione sfilano davanti all'ara, dove omaggiano la memoria del dittatore a vita». Vercingetorige, poveraccio, avrebbe un travaso di bile. Sconfitto due volte: sul campo di battaglia e nel match per guadagnarsi la leggenda.

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di Mattia Bernardo Bagnoli






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