quinta-feira, 28 de julho de 2016

La pasta non fa parte della dieta mediterranea


Ho due notizie a proposito della dieta mediterranea. Una è buona, l’altra meno. La prima, è che una revisione di tutti gli studi compiuti negli Anni 60 da Ancel Keys, padre di questa teoria, ha confermato che il regime alimentare seguito nel primo dopoguerra a Nicotera, in Calabria, e nei villaggi accanto a Iraklio, sull’isola di Creta, si è dimostrato essere quello connesso a una maggiore sopravvivenza media. La seconda, è che purtroppo pizza e spaghetti non ne facevano parte.  

I cereali venivano assunti soprattutto sotto forma di pane, per la maggior parte integrale, che serviva ad accompagnare verdura, legumi e formaggio di capra, con buona pace di tutti quelli che fantasiosamente sostengono che i latticini sarebbero tossici dopo l’età adulta.  

L’olio d’oliva non mancava, più per condire che per cucinare, e per incrementare le calorie fornite dal pessimo vino. Il pesce era raro e la carne roba da ricchi. Il pomodoro non finiva sui rigatoni o sulla Margherita, ma in insalata, nel sugo, sul pane raffermo, magari insieme a qualche uovo. Il lavoro era tanto, i passi molti e il cibo poco, alla sera pochissimo. E proprio la magrezza, il non introdurre più energia di quanta ne serva, è un fattore che accomuna le popolazioni più longeve. Proprio in Meridione infatti, con l’arrivo del benessere, il peso e le statistiche si sono modificati. Tra le muse della dieta mediterranea quindi, mi dispiace, non c’è la carbonara ma la frugalità. 

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