sexta-feira, 31 de março de 2017

Alla scoperta del Sannio, “Chianti” della Campania

LA STAMPA.IT

Non solo storia, architettura o paesaggio: una regione si riconosce anche dal patrimonio enogastronomico. Il pane di Altamura, l’arrosticino di pecora abruzzese, il gianduiotto di Torino, il Brunello di Montalcino. È uno dei motivi per cui vale ancora la pena vivere nel Bel Paese: il lasciarsi stupire dalla sua magnifica biodiversità alimentare.  

E così se la Campania è conosciuta per la pizza, lo è anche per un panorama vitivinicolo di assoluto valore custodito nel Sannio beneventano. Considerato per troppo tempo terra di vini minori, sta vivendo una nuova vita. La squadra del Consorzio Tutela Vini fa da guida sin dal 1999, quando alcune idee erano considerate utopie. Ma si sa, occorre del tempo, specie nelle abitudini agricole. Può un contadino pensare alla Falanghina come a un vitigno volano per la promozione di un intero territorio, e non solo a un costo-ricavo ottenuto dalle vendite delle uve? Adesso è possibile e i numeri non lasciano dubbi: circa diecimila ettari vitati con Benevento capitale, tre denominazioni di origine e una indicazione geografica, quasi cento aziende vinicole e un milione di ettolitri di vino prodotto che dà al Sannio la leadership nel comparto vitivinicolo Campano. 

Sul finire degli Anni 70 questa zona soffriva di un abbandono progressivo della vigna a favore del più remunerativo tabacco. Ora si torna al passato. Aglianico e Falanghina delle valli del Titerno e del Taburno, ma anche Fiano, Greco, Sciascinoso e Agostinella, sono le anime di questo territorio che non vede il mare. La grande dispensa vitivinicola campana è nel cuore dell’Appennino Sannita ed è nella valle del Calore che oggi si concentra la maggior parte delle aziende e della produzione di uva. Un tempo vi era un bacino chiuso occupato da un lago, ora si alternano colline e valichi in cui la viticoltura è pratica antica, dove i contadini hanno custodito a lungo i saperi agropastorali e tutelato la biodiversità locale. È grazie a loro se oggi, a distanza di un secolo, abbiamo l’opportunità di continuare ad «assaggiare» un territorio genuino come il Sannio. Dal Monte Taburno verso il fiume Calore si percorre la cosiddetta zona del Solopaca, dove è affascinante notare le vecchie e secolari viti dormienti, vigneti dove la fillossera non ha trovato habitat e dove i diversi sistemi di allevamento continuano a convivere donando vini variegati contro ogni omologazione. Vini umili, potenti e generosi quelli del Sannio, da una parte l’Aglianico con tutta la sua austerità e struttura, dall’altra la potenza e la longevità della Falanghina, insieme ai numerosi autoctoni come il Piedirosso e la Coda di Volpe su cui i produttori hanno deciso di puntare.  

Se però si pensa che il vino possa da solo essere la bandiera di un territorio si sbaglia. E qui ecco che appare la proposta ristorativa fatta di cuochi valevoli e di immensa tradizione gastronomica Per non parlare della madre pizza, che qui vive come simbolo e certezza. Il pizzaiolo Gino Sorbillo è riuscito a portare a soli 35 anni la cultura della pizza oltre oceano, continuando a restare ben saldo nella sua terra. Il Consorzio dei Vini del Sannio ha scelto lui per il matrimonio Pizza&Falanghina, promuovendo l’importanza del connubio geo-qualitativo: insieme innalzano e ribadiscono la tipicità enogastronomica. Sorbillo è ormai un ambasciatore mondiale ma conserva l’espressione umile e scanzonata del giovane alle prime armi, e con lui sono tanti i colleghi più o meno conosciuti che lavorano tra le vie dei loro paesini d’origine selezionando le farine, scegliendo le maturazioni d’impasto e sperimentando i gusti da proporre. Pizza e vino contro ogni abitudine, perché è provandoci che si fa la rivoluzione. 

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