Roma, Rainews24.it - "L'insegnamento della religione cattolica è definito dal Concordato tra Stato e Chiesa e non può essere rivisto senza rivedere il Concordato. E non mi pare che la cosa sia all'ordine del giorno". In tre diverse interviste, al Giornale, al Messaggero e alla Stampa, il ministro Mariastella Gelmini chiarisce le ragioni che l'hanno spinta a presentare ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio che ha valuta illegittima la presenza degli insegnanti di religione agli scrutini scolastici.Per il ministro quella del Tar del Lazio "è una sentenza che discrimina non solo gli insegnanti, ma tutti gli studenti e le famiglie che scelgono di seguire l'ora di religione. E questo -rimarca il ministro dell'Istruzione- non è accettabile".
Non sono al servizio della Cei
Quanto alle accuse di un governo che 'obbedisce' alle parole dei vescovi, Gelmini replica: "Non c'entra nulla. Io ho risposto al Tar del Lazio che ha interpellato il mio dicastero e le mie competenze. I vescovi poi hanno protestato perché hanno visto attaccare il ruolo dei docenti di religione, ma tra questo fatto e il mio operato non c'è alcuna relazione. Io -sottolinea il ministro- sono un membro del governo, non della Cei".
Religione screditata
"E' davvero assurdo discriminare l'insegnamento della religione cattolica" afferma Gelmini al Giornale che sottolinea come "sarebbe l'unica materia a non contribuire alla valutazione globale dello studente tra tutte le attività che danno luogo a crediti formativi: assurdo e paradossale". Il ministro ricorda infatti che "il frequentare corsi di religione cattolica non dà diritto a un credito scolastico ma un credito formativo" e quindi non incide direttamente sul voto finale allo studente ma "quanto l'attestato di un corso di lingua, di ballo, di teatro e persino di filatelia". Il ministro sostiene quindi che il ruolo degli insegnanti di religione va "accresciuto e valorizzato". E annuncia che "dal prossimo anno vorrei coinvolgere maggiormente i docenti in attività di formazione. La sentenza del Tar va contrastata sia sul piano culturale che su quello tecnico giuridico. Il cattolicesimo fa parte del nostro patrimonio di storia, di valori e tradizioni. Va difeso e tutelato. Fermo restando il principio di libertà di scelta. Chi vuole frequentare i corsi di religione lo fa, chi non vuole non li frequenta".
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