quinta-feira, 4 de fevereiro de 2010

Lodo Alfano e legge sui pentiti i paletti del Colle per la firma

Roma - Vuole, e ottiene, "rassicurazioni certe e formali" che la legge di Valentino sui pentiti non diventerà mai neppure un oggetto di discussione. E sul legittimo impedimento fa sfumare le paure di una possibile bocciatura. Ma chiede che il testo resti quello che è, senza ulteriori forzature, e che presto la legge diventi un ponte effettivo verso una protezione costituzionale certa. Cinquanta minuti di colloquio, faccia faccia Napolitano e Alfano. Una partita che finisce pari. Il presidente incassa l'ufficiale e definitivo niet del governo sul ddl anti-Spatuzza e salva-Dell'Utri; il Guardasigilli guadagna il via libera per lo scudo temporaneo per il suo premier. Che naturalmente informa in tempo reale.

Quando Angelino Alfano sale al Quirinale sa già che l'agenda del presidente è piena di preoccupazioni sulla giustizia. E non solo: pure sui pentiti e sulla sorprendente legge di Valentino che li azzera, per la quale il capo dello Stato è in ansia da due giorni. Non basta: anche sul legittimo impedimento e sul suo sbocco futuro, visto che il provvedimento "ponte" ha un pilastro di partenza ma gli manca ancora quello di arrivo. Nell'elenco dei quesiti di Napolitano per il Guardasigilli c'è alla fine il capitolo sulle riforme, a cominciare dal Csm e dalla sua legge elettorale, per finire al destino delle carriere dei giudici.

Alfano è politico siciliano abile nei compromessi, nel gioco del do ut des, e con il presidente della Repubblica gioca una delicatissima partita per rassicurarlo completamente sui pentiti ("Presidente, non deve preoccuparsi, non se ne farà niente, non cambiamo l'articolo 192 del codice di procedura penale"), per garantirgli che il legittimo impedimento avrà "prestissimo" il suo piede d'appoggio naturale ("Già la prossima settimana presenteremo il nuovo lodo costituzionale al Senato"), per incassare a sua volta l'informale via libera del presidente proprio sulla legge che, negli stessi minuti, si sta discutendo alla Camera.

È da qui che bisogna partire se si vuole capire la soddisfazione del ministro della Giustizia quando torna a Montecitorio: parla con gli altri ministri (gli sta accanto Raffaele Fitto), fa progetti con il suo instancabile sottosegretario Giacomo Caliendo, pranza al ristorante con il vice presidente della Camera Maurizio Lupi, suo compagno di maratone. Alfano può spendere con i suoi la certezza che dal Quirinale non arriveranno brutte sorprese sul legittimo impedimento. La fine di un incubo.

Certo, Napolitano non ha magnificato questa legge. Le ombre sulla natura temporanea della norma, sull'impedimento che può arrivare fino a sei mesi, sull'autocertificazione emessa dalla medesima presidenza del Consiglio (in pratica il premier che si certifica da sé la validità dell'impegno), sulla ridotta libertà del giudice a decidere restano tutte. Ma non arrivano ad assumere la veste di un fumus di incostituzionalità. Al Quirinale hanno anche apprezzato quell'aggettivo, "attività "coessenziali" alle funzioni di governo", entrato nel testo grazie a una modifica Udc.

Due garanzie vengono chieste al ministro. Che non ci siano altri appesantimenti nel passaggio al Senato e che presto, "molto presto", la legge ponte approdi alla sua destinazione futura. Alfano dice che il nuovo lodo ormai è pronto. Si discuterà ancora nella maggioranza sulla prospettiva di affrontare la strada dell'immunità, ma al Senato lo scudo costituzionale comincerà il suo cammino. Cambiamenti di quei due articoli neppure a parlarne. Lo garantisce il ministro. In Transatlantico lo dice Niccolò Ghedini. "Modifiche? Ma no, ormai il testo va avanti così. Passerà al Senato come l'abbiamo approvato oggi". Perché sia chiaro a tutti, lo dichiara alle agenzie, "abbiamo raggiunto il massimo punto di sintesi", il relatore e segretario della consulta pdl per la giustizia Enrico Costa, che non fa un passo senza consultarsi con il suo capo Ghedini.

Berlusconi ha vinto la battaglia del legittimo impedimento. Gli consentirà di gestire in piena tranquillità la campagna elettorale. Alfano, a suo nome, al Quirinale prova anche a lasciare aperta la porta del processo breve, su cui invece i dubbi del Colle erano e permangono molto pesanti. Le preoccupazioni di Napolitano sarebbero assai minori se quella legge si avviasse a rimanere su un binario morto. Ma Berlusconi, che non si fida dei giudici, vuole comunque conservare un'arma di riserva. Su questo, però, Alfano ha preferito restare nel vago per non rovinare l'esito dell'incontro.

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