Quando sullo stato di salute di una città o di qualsiasi organizzazione si moltiplicano scritti, dichiarazioni, memorandum sul da farsi, vuol dire che lo stato di salute di quella città o di quella organizzazione non è buono. È il caso di Milano, che ha ricevuto negli ultimi anni un enorme numero di diagnosi, consigli, suggerimenti di ogni tipo e da ogni dove. Eppure sembra sempre mancare una visione, una strategia, una direzione di marcia. I vertici politici e amministrativi della città stanno abbarbicati all’unica idea di Expo 2015 come dei naufraghi a una ciambella di salvataggio, peraltro un po’ consunta e appesantita.
Ci si lamenta ancora troppo del cattivo funzionamento di Milano, del lungo sonno che ha fatto perdere alla metropoli il ruolo di traino, di guida illuminata del Paese. Ma quando si incontrano manager, imprenditori, uomini d’affari, consiglieri delegati di gruppi multinazionali che vivono a Milano da molti anni, e li si interroga su come vedono la città, viene fuori che la vita a Milano da loro è apprezzata e che nei rispettivi gruppi societari c’è una lunga lista d’attesa di manager che sarebbero lieti di trasferirsi qui. Tra i motivi di tale apprezzamento vengono sottolineate soprattutto la qualità delle nostre Università e dell’organizzazione sanitaria, ma anche la straordinarietà di un’offerta culturale che ci mette all’avanguardia nella musica, nel teatro e nell’arte.
Dunque c’è del buono nella nostra amata Milano, di cui andare orgogliosi. Ma dobbiamo domandarci: questo buono rappresenta un capitale sociale accumulato nei secoli, che stiamo rinnovando, o che semplicemente stiamo consumando?
Da allarme a speranza - La nostra organizzazione sanitaria è buona anche perché abbiamo dietro le spalle almeno cinquecento anni di buona sanità, di grandi medici scienziati ai quali nessuno chiedeva se avessero la tessera del partito o della setta di turno. Oggi, sempre più spesso, mentre si parla di meritocrazia, a un giovane non si chiede che cosa sa fare, ma a quale cordata appartiene. La convenienza sta sempre più prendendo il posto della competenza. E così si pongono le basi per una inevitabile caduta morale, professionale, motivazionale e, inevitabilmente, anche finanziaria della nostra città.
Milano deve riflettere a voce alta sull’invadenza della politica nei suoi circuiti vitali, e deve tornare ad affermare con forza il valore del merito, senza piegarsi ad un conformismo che mina alle radici la sua identità. C’è, nella società milanese, un antico antidoto a questo rischio: è il coraggio di esporsi, di prendere posizioni coraggiose: basta citare Beccaria o Verri o Cattaneo per trovare qualche esempio luminoso che viene dal passato. Altri ce ne sono anche oggi, però restano sommersi, non hanno la forza di imporsi e faticano a trovare autorevoli sponsor nelle istituzioni. Bisogna farli emergere: per non cadere sempre nell’elogio del tempo perduto, Milano deve dare più opportunità ai «nuovi», creare le premesse per una rivoluzione del buon cittadino, seminando qualcosa di diverso dalla caccia al consenso elettorale: deve dare, come fanno tanti volontari per il sociale non profit, esempi imitabili; deve aiutare i giovani a prendere in mano il loro futuro, a diventare protagonisti nella loro città, assumendosene anche le responsabilità. Abbiamo scritto più volte che in questo Paese se non ce la fa Milano, se questa città non diventa l’esempio virtuoso di una rinascita, economica, civica, culturale, c’è poca speranza per tutti. I maggiori mali dell’Italia di oggi sono due: siamo sempre più rassegnati e assistiamo senza reagire al taglio sistematico di tutti i legami veri con l’Europa. Bisogna trasformare quello che appare come un «allarme Milano» in una «speranza Milano»: per noi, per i nostri figli e per l’Italia. In questa città c’è lo spessore intellettuale, culturale, morale, storico, economico per fermare una deriva che preoccupa tutti. Ed una cosa ci sentiamo di affermare: o questa inversione la fa Milano o non la fa nessun altro nel nostro Paese.
I punti fondanti - Questa città, diventata così succube di Roma che ha visto i suoi uomini politici sempre più risucchiati e integrati nella macchina del potere romano, che ha assistito impotente allo svuotamento di Malpensa e al quasi commissariamento dell’Expo 2015, che si sta sfinendo in un interminabile dibattito sul piano di governo del territorio, questa città, dicevamo, che ha ancora nelle sue viscere l’energia, l’intelletto e la conoscenza per fermare uno scivolamento verso il basso, può rilanciare il merito, l’efficienza, lo spirito solidale e farli diventare punti di forza per il rilancio. Non con l’antipolitica, ma con la buona politica. Non si tratta di essere di destra o di sinistra: il tavolo per ridare a Milano un ruolo di guida nel Paese è aperto a tutti. E perché ciò avvenga è necessario acquisire e concordare su cinque punti fondamentali e fondanti:
— Riacquistare profonda consapevolezza che, se si lascia prevalere il principio di affiliazione sul principio di professionalità, Milano tradisce la sua vocazione più profonda; si allontana dal modello che deriva dalla sua storia e si avvia a modelli di stampo mafioso.
—Acquisire coscienza che se ciò si verifica è inevitabile per la città e per la maggioranza dei cittadini un processo di impoverimento che, nel tempo, consumerà sia il capitale economico che il capitale sociale accumulato. Perché come ci ha insegnato un grandissimo figlio di Milano, Carlo Cattaneo: «Chiuso il circolo delle idee, resta chiuso il circolo delle ricchezze».
— Rendersi conto che la politica di taglio sistematico dei legami con l’Europa e lo sforzo di sprofondarci in una dimensione culturale provinciale, è strumentale alla vittoria del principio di affiliazione ed è in conflitto totale non solo con la cultura ma con gli interessi di Milano e dei milanesi.
— Capire che la crisi innescherà un ciclo di ricambio generazionale profondo, aprendo in parte anche nuove opportunità di lavoro. Milano dovrà creare filiere di valore dentro la crisi, per trattenere chi porta talento, creatività e professionalità.
—Convincersi che per fermare la deriva è necessario che tutti si impegnino. Dobbiamo tutti dirci, con il fondatore della Milano moderna, il nostro vescovo e sindaco Ambrogio: «Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili.
Vivete bene e muterete i tempi». Se siamo d’accordo su questi principi fondanti, che potremmo chiamare la base del nostro patto costituzionale cittadino, del nostro voler stare insieme, tutto il resto consegue. Allora, anche passando in rassegna, i più importanti contributi pubblicati sul Corriere, a partire dal forte appello del Cardinale Tettamanzi (20 maggio 2009), individuiamo dieci punti che nel loro insieme possiamo chiamare: Manifesto per Milano. Punti, sui quali chiamare all’azione i cittadini che vogliono impegnarsi contro la deriva e contro la rassegnazione. Questi punti non esauriscono tutti i temi emersi nel ricco dibattito sulla città, lanciato dal Corriere nel corso dell’anno. Ma sintetizzano efficacemente, il desiderio trasversale e dominante che la città esprime di liberarsi dalla Signoria e dal peso del potere del denaro, e insieme dalla rassegnazione, per ricostruire una città libera, aperta, creativa, non triste e grigia, ma coraggiosa e anche un po’ scanzonata, come Milano è sempre stata.
http://www.corriere.it/
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