sábado, 26 de fevereiro de 2011

Valpelline, Carnevale è un costume rosso


Carnevale a San Remy


Nei comuni della Coumba Freida i tradizionali cortei napoleonici.

I residenti sono 482, un migliaio le mucche da cui si ricava il latte che viene trasformato nel più famoso dei formaggi valdostani, la fontina. Quello di Doues è un piccolo primato che inorgoglisce sindaco e abitanti. E il fatto che una parte ancora consistente di popolazione sia impegnato nell'agricoltura e nell'allevamento ha effetti positivi anche sull'ambiente: prati curati e quasi coccolati con un sistema di irrigazione a pioggia e stalle modello per sfruttare i pascoli estivi che salgono fin sopra Champillon fra i 2000 e i 2300 metri di altitudine. Anche in inverno questo è un panoramico balcone naturale di fronte alle pareti del Mont Velan e del Grand Combin che, dall'alto dei suoi 4314 metri, domina incontrastato le valli della Coumba Freida, quella del Gran San Bernardo, di Ollomont e la Valpelline. «Le perturbazioni che superano il Monte Bianco si scaricano spesso in questa zona, dove l'innevamento è sempre notevole» racconta Felice Aguettaz, classe 1939, decano delle guide della Valpelline con 40 anni di soccorso alpino alle spalle e protagonista di rocamboleschi salvataggi in montagna che nulla hanno da invidiare al racconto di Joe Simpson in La morte sospesa. Come l'alpinista svizzera salvata dopo più di quattro giorni di ricerche in un crepaccio a 20 metri di profondità. D'altronde queste sono le montagne amate dall'Abbé Henry, uno dei padri dell'alpinismo valdostano, che fu parroco prima a Doues e poi a Valpelline.

Doues è uno dei paesi che dà vita al Carnevale della Coumba Freida. Fra febbraio e gli inizi di marzo una decina di comuni, fra gli altri Etroubles, Gignod, Saint-Oyen, Saint-Rhémy-en-Bosses, Valpelline, si animano per quello che è considerato il più antico carnevale della regione. I costumi delle landzette, le figure principali, sono ispirati alle divise dell'esercito francese che nel 1800, guidato da Napoleone, scese dal colle del Gran San Bernardo. Un evento entrato nella memoria delle popolazioni che, di generazione in generazione, continuano a rievocarlo. A Saint-Rhémy-en-Bosses, dove quest'anno le manifestazioni si concluderanno fra il 6 e l'8 marzo, il corteo è aperto proprio da Napoleone. La tradizione dei carnevali della Coumba Freida prevede la presenza dei musicisti e della gueudda, la guida che dirige il corteo dettando i tempi alle maschere. Seguono le landzette, con i preziosi costumi di velluto arricchiti da specchietti, perline, paillettes e copricapi coloratissimi ornati da fiori di carta. A Doues li portano di traverso alla moda napoleonica e i costumi sono tutti rossi, mentre altrove si usano altri colori sgargianti. Seguono le demouazelle, le damigelle vestite da principesse, gli arlequeun, gli arlecchini, il toc e la toca, i due vecchietti burloni. Infine l'orso, l'animale che con l'uscita dalla tana alla fine del letargo segnava il ritorno della primavera.

Quello di Doues è un carnevale molto sentito dalla popolazione locale e più che da turisti bisogna viverlo mescolati alla gente del posto e stare agli scherzi e alle provocazioni delle maschere. La bènda, il corteo, fa il giro delle frazioni e viene accolta da tutti davanti alle case. «C'è l'abitudine di accogliere le maschere offrendo la seupa freida, il pane nero secco inzuppato nel vino con lo zucchero» racconta Erminia Cheillon che assieme al marito Felice continua a preparare i tipici salumi valdostani, la motsetta, il lardo, il boudin e le saucesses. Stagionano assieme alle fontine nella crotta di famiglia in frazione Châtelair, a 1400 metri. Si trova anche dell'ottimo miele e la stalla dove Piero Cuaz alleva 38 vacche, «tutte iscritte all'albero genealogico» tiene a sottolineare. Già, perché qui l'orgoglio di possedere una reina, una mucca in grado di partecipare alle batailles, i combattimenti organizzati ogni anno, è ancora nelle aspirazioni di tutti gli allevatori.

In Valpelline, qualche chilometro più in basso, si scopre un altro elemento identitario della valle, quella seupa a la Vapelenentse che un tempo era il modo più razionale per utilizzare i pochi ingredienti disponibili e oggi richiama migliaia di curiosi alla festa dell'ultimo fine settimana di luglio. La ricetta della zuppa della Valpelline la racconta Mary Jordaney, una delle cuoche che in famiglia tengono ancora viva la tradizione: «niente altro che strati di pane bianco raffermo, fette di fontina, imbevute con brodo caldo e burro fuso per ammorbidire il pane e dorare la crosta che si formerà in forno». Il segreto di una buona seupa sta nella scelta di una fontina ben dolce e nel brodo di cavolo, sedano e altri ingredienti che sono il segreto di ogni famiglia. Per la fontina, siamo nel posto giusto: in queste valli nasce buona parte di tutta produzione valdostana e circa un terzo delle forme (60 mila) stagionano nel magazzino di Valpelline ricavato in quella che un tempo era un'antica miniera di rame sfruttata fino al 1946. Info: www.regione.vda.it/turismo

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