Roma - Novara fa retromarcia: la circolare con cui si toglieva un giorno di ferie ai dipendenti in occasione della festa del 17 marzo è stata sospesa ieri sera dal vicesindaco Silvana Moscatelli. Nonostante questo, la sindrome innescata dalla città piemontese ha fatto passare un brivido ai palazzi romani.
La questione della celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia sembrava finalmente risolta: la fatidica giornata sarebbe stata festa a tutti gli effetti, con uffici chiusi, lezioni sospese, celebrazioni, botti e fanfare. Il decreto - numero 5 del 22 febbraio - oltre che breve doveva essere, a riguardo, chiaro. Invece breve lo è - appena 11 righe - ma chiaro proprio per niente. «Dall’attuazione del presente decreto - dice il comma 3 dell’articolo 1 - non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
La norma, infatti, dice che i costi della festività straordinaria dovranno essere coperti dalla soppressione - solo per quest’anno - di quella del 4 novembre. Ma quest’ultima è una «semifestività», e quindi in grado di coprire solo una parte del costo complessivo della festa vera del 17 marzo. Un qualche aggravio di spesa, anche se minimo, ci sarà dunque, e questo stride - o potrebbe stridere - con il comma tre che dice di non spendere neppure il becco di un quattrino in più. O almeno questo è quel che si capisce. Da qui la decisione del Comune di Novara di attenersi alla legge, e quindi dare la festività ma scalandola dal monte-ferie dei suoi dipendenti.
«L’effetto di questa interpretazione - dice il segretario generale dell’Anci (l’associazione dei Comuni d’Italia), Angelo Rughetti - è che per tutta la giornata sono arrivate moltissime telefonate alla nostra sede, da parte di Comuni che chiedevano lumi. Con un timore in qualche modo fondato: se avessero deciso di attenersi alla linea Novara si sarebbero trovati di fronte ad un contenzioso con il personale, se, invece, avessero optato per farsi carico interamente della festività, avrebbero rischiato una tirata d’orecchi dalla Corte dei Conti».
Non solo, ma quanto vale per i Comuni, si applica a tutte le amministrazioni autonome: dai ministeri fino alle scuole, dagli enti pubblici fino alle Asl. Si rischia, insomma, un finimondo. Da qui la decisione dell’Anci di rivolgersi al ministero della Funzione pubblica «con una lettera - spiega ancora Rughetti - che abbiamo preparato e che partirà immediatamente, perché ci venga data la retta interpretazione della norma». Il ministero guidato da Renato Brunetta ha però bruciato tutte le tappe e, per tutta risposta, ha pubblicato nella serata di ieri la relazione tecnica di accompagnamento del decreto di istituzione della festa, che chiarisce ogni cosa senza bisogno di ulteriori precisazioni: «L'effetto derivante dalla compensazione tra 17 marzo e 4 novembre, come disposto dal provvedimento - dice la relazione -, si risolve nella circostanza che i lavoratori non potranno disporre in piena libertà, secondo le loro esigenze, di tutte e quattro le giornate di riposo compensativo, essendo sostanzialmente previsto l'obbligo ex lege che uno di questi riposi cada nella giornata del 17 marzo». Detta in maniera semplice: dei 4 giorni di riposo compensativo, tre potete farveli quando volete, ma uno - per quest’anno - è fissato per legge nel 17 marzo. E tanti saluti.
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