quinta-feira, 3 de março de 2011

Il governo oggi lancia la missione in Tunisia, una nave per Bengasi

Roma -  Il Consiglio dei ministri esamina oggi i termini della missione umanitaria per la Tunisia decisa in fretta, l'altra sera, da Silvio Berlusconi e alcuni titolari di ministeri. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha informato che «appena le condizioni di sicurezza saranno idonee» partirà anche, fornita dalla Difesa, una nave italiana diretta a Bengasi, città libica in mano agli insorti con scarsità di cibo e medicine.

Nel governo c'è chi, come il sottosegretario Alfredo Mantica, immagina che potrà chiamarsi «Villaggio Italia» il campo profughi da costruire al confine tunisino con la Libia e destinato ad assistere pure sfollati egiziani. Di certo, per questo progetto che il ministro dell'Interno Roberto Maroni, leghista, ha presentato come passo volto a prevenire flussi di stranieri in Italia non mancheranno scelte di immagine finalizzate a dar l'idea di un Paese impegnato in buone azioni.

La scossa agli equilibri del Nord Africa portata dalle rivolte contro i regimi del tunisino Ben Ali, dell'egiziano Hosni Mubarak e adesso del libico Muammar el Gheddafi portano però all'ordine del giorno nei contatti tra Stati argomenti che sullo sfondo hanno l'impiego delle armi. In più, una, poco filantropica, partita finanziaria sugli effetti delle sanzioni al «Leader». Usa e Gran Bretagna hanno in parte corretto i toni rispetto a quando, indicando la presenza di «tutte le opzioni sul tavolo», Washington si è attratta diffidenze di Cina, Turchia e Paesi europei mediterranei dubbiosi sulle ripercussioni di impieghi della forza dettati dal fine di accelerare la caduta del Colonnello. Dittatore meno precario, fino a ieri, rispetto a quanto ritenuto una settimana fa.

Gli Stati Uniti sono «ancora lontani» dal decidere un'interdizione dei voli di aerei del regime sulla Libia, ha precisato il segretario di Stato americano Hillary Clinton, la stessa che lunedì aveva segnalato tra i temi in discussione la creazione di una cosiddetta no fly zone (ufficialmente dettata dallo scopo di impedire bombardamenti sui ribelli, ma conta la preoccupazione per i pozzi di petrolio). «Nella Nato non c'è consenso per il ricorso alla forza», ha constatato il segretario alla Difesa Robert Gates. Le sue affermazioni ieri hanno ridotto le ipocrisie del dibattito pubblico dei giorni precedenti. «Chiamiamo le cose con il loro nome. Una no fly zone inizia con un attacco contro al Libia per distruggere le sue difese aeree. Soltanto dopo un attacco così sarebbe possibile far volare i nostri aeroplani sul Paese senza timori che i nostri uomini vengano abbattuti», ha ammesso Gates ascoltato nel Congresso.

Mentre il governo Berlusconi cala la carta della missione umanitaria anche per cambiare il centro dell'attenzione, dopo essere stato l'ultimo tra gli alleati a condannare la repressione voluta dal Colonnello, uno dei più restii alla no fly zone e privo di fretta nel bloccare le partecipazioni libiche in società italiane, il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha ripetuto quasi per intero la tesi di Gates. «Non dico né sì né no, ma certo Gates ha ragione, è un'operazione militare», ha aggiunto La Russa. Poi, sulle forze di Gheddafi: «E se la contraerea interviene contro i nostri aerei che fai? Devi bombardare». Prospettiva «molto, molto discutibile» secondo Mantica, Pdl come La Russa.

L'opzione militare, tuttavia, resta. Il Consiglio atlantico dovrebbe incaricare oggi in via formale i generali della Nato di studiare la fattibilità di varie opzioni oltre all'assistenza ai profughi. L'Adnkronos ha riferito che Frattini, nel comitato parlamentare sui servizi segreti, avrebbe espresso riserve su partecipazioni italiane a interventi militari in Libia, senza escluderne di Usa e Regno Unito con collaborazioni di Francia, Canada, Svezia, Polonia. «Disinformazione», ha smentito la Farnesina, mentre Maroni frenava sul congelare quote libiche in società italiane. Vero o falso, fosse anche soltanto per intimidire Gheddafi la questione è sul tappeto.

Maurizio Caprara
http://www.corriere.it/

Nenhum comentário: