A Matteo Renzi preme tenere distinte le partite di Quirinale, legge elettorale, riforme costituzionali. il premier sa che il primo è un passaggio "delicato e difficile", ma è certo che "il Pd sarà decisivo nello scegliere insieme a tutti un arbitro equilibrato e saggio, il garante super partes delle istituzioni". Poi vuole a tutti i costi chiudere su riforme e Italicum 2.0. Entro il 29 gennaio, data intorno alla quale saranno convocati i grandi elettori per scegliere il nuovo Presidente della Repubblica. Ma proprio questo desiderio forte di non intrecciare le partite potrebbe legarle invece a doppia mandata.
I giorni in cui dovrà decidersi la sorte della legge elettorale sono gli stessi in cui avverranno le trattative (mai interrotte, per quanto segrete, persino per Natale) sul Colle. Il Palazzo ha perciò di fronte un gennaio incandescente e questioni tecniche legate alla legge elettorale come la clausola di salvaguardia (che ne impedisce l’applicazione prima del settembre 2016 allungando di un paio d’anni la legislatura) o la conferma dei capilista bloccati tanto cara a Berlusconi, diventano altrettante pistole fumanti nelle mani di chi vuole far saltare il Patto del Nazareno ed impedire l’accordo Renzi-Berlusconi sul Quirinale
Per questo l’affermazione del premier, “abbiamo i numeri per eleggere il nuovo presidente”, al momento non è che una interpretazione ottimistica della realtà. E infatti a Palazzo Chigi si compulsano liste di franchi tiratori (ne sarebbero stati conteggiati una ottantina nel Pd) che protetti dal voto segreto e magari in sinergia con i fittiani (40 voti), sommandosi ai malcontenti in Area popolare (10-20 voti) potrebbero accendere la mina che fa saltare tutto in aria.
E la grande prova generale dell’esistenza di un possibile accordo va in scena proprio al Senato il 7 gennaio, quando arriva in Aula l’Italicum 2.0. Quando non solo falchi del calibro di Brunetta (“prima il Colle, poi la legge elettorale”) e Santanchè (“basta Avatar ed uomini espressione del Pd”) ma persino l’ortodossissimo capogruppo di Forza Italia al Senato Paolo Romani arrivano a dire che il prossimo inquilino del Quirinale “non può avere in tasca la tessera del Pd”, si capisce che la partita è tutta da giocare. E resta pura enunciazione teorica quanto detto prima da Berlusconi e poi da Alfano: niente veti né nomi, ma la richiesta di un Presidente autorevole e di garanzia. Il grande gioco del Quirinale non comincia quindi con le dimissioni ufficiali di Giorgio Napolitano o alla fine di gennaio, con la convocazione del Parlamento in seduta comune.
E’ già in corso in questi giorni di festa. E si giocherà già in modo spinto dal giorno dopo la Befana, tra l’arrivo a Palazzo Madama dell’Italicum 2.0. e la riunione di Matteo Renzi con i gruppi Pd sulla legge elettorale, in attesa della convocazione della Assemblea Nazionale del partito chiamata alla scelta sulla rosa quirinalizia. Intanto, iniziano ad accendersi i primi falò, dove mettere a bruciare nomi troppo presto buttati in campo. A chi assicura che si discute già in queste ore di un esponente di area cattolica - in ossequio alla legge che vuole l’alternanza laici-cattolici al Quirinale - arrivano repliche secche da maggioranza e opposizione. Nessuna rosa.
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