L'emergenza non è solo nostra, ma di tutti: se Bruxelles chiude gli occhi, sottraiamo i costi sostenuti per fronteggiare l'immigrazione dal contributo che versiamo all'Europa
L'emergenza non è solo nostra, ma di tutti: se Bruxelles chiude gli occhi, sottraiamo i costi sostenuti per fronteggiare l'immigrazione dal contributo che versiamo all'Europa
Renato Brunetta - Dom, 19/04/2015 - 08:21
Il buonismo produce razzismo. E il razzismo inevitabilmente la guerra. Per questa ragione, terrorismo internazionale, grandi esodi e immigrazione sono fenomeni che richiedono uno sforzo comune per evitare i drammi cui abbiamo assistito negli ultimi mesi e che continuano ad alterare gli equilibri mondiali, fino a minacciare la pace
E sono temi da affrontare tenendo conto di culture, sensibilità e storie diverse, per creare la possibilità di un incontro, costruire un ponte. Ma quali sono le caratteristiche delle due sponde su cui devono poggiare le arcate di questo ponte?
L'arcata occidentale Dal punto di vista dell'arcata occidentale, la domanda è: il terreno su cui poggiare il cantiere esiste? La constatazione che fanno molti è che la sponda occidentale non ha consistenza. Prevalgono le sabbie mobili dei sensi di colpa e l'incertezza assoluta sul bene e sul male. L'identità europea ormai è questa: essere l'identità degli altri. La cultura ufficiale impone di essere rispettosi di etnie, culture, religioni differenti, condanna islamofobia e razzismi, ma rinuncia a tutelare la propria identità. La tradizione europea è vista come qualcosa da distruggere, anzi è già stata distrutta, almeno nel pensiero dominante. Questa identità che non c'è, questa identità che è l'identità dell'altro, la rinuncia dell'Occidente a essere orgoglioso di una forma di società, di un pensiero forte impedisce la costruzione di un ponte. E spinge la cultura islamica a un'idea di superiorità, a pensare all'Occidente come un posto vuoto da conquistare.
C'è poi un altro problema: come si fa a costruire un ponte mentre c'è una guerra in corso? La lezione di Oriana Fallaci ci dice che non esiste l'Islam moderato. Da qui la necessità di tutelare la nostra civiltà, non per ingabbiarla, ma per salvarla. La libertà e la democrazia esigono la sicurezza. Sono cose ovvie, ma tocca ripeterlo, perché oggi la cultura dominante è intrisa di scetticismo su libertà e democrazia. E questo si traduce in un disarmo delle anime che arriva fino ai vertici dei governi occidentali e in particolare di quello italiano.
L'arcata orientale Dall'altro punto di vista, invece, la domanda che bisogna porsi è diversa: cosa c'è al fondo del dramma di oltre 250 milioni di persone? A tanto ammontano gli abitanti del Medio Oriente, del Nord Africa e del Pakistan: i principali paesi sconvolti dalle guerre, cui consegue un grande esodo. Esodo, non semplice immigrazione.
Dal 1980 in poi, il reddito dei paesi sopra citati rispetto al resto del pianeta non è cambiato. Nel 1980 esso era pari al 7,6% del reddito mondiale. Oggi quell'asticella non si è mossa minimamente. Trent'anni e più passati invano.
Per avere un termine di paragone, si consideri che nello stesso periodo i vecchi paesi coloniali dell'Asia, compresa la Cina popolare, sono passati dal 9,1% al 28,5%. In questi anni la popolazione del Sud Est asiatico è aumentata del 65%. Quella delle zone del grande esodo del 145%. Siamo davanti a paesi che non crescono economicamente, ma che crescono demograficamente. Così sarà anche da oggi al 2020: in Medio Oriente, Nord Africa e Pakistan l'economia rimarrà stagnante (anzi il Fmi stima un leggero regresso), mentre la popolazione continuerà a crescere di un altro 30%.
I due fenomeni, scarso sviluppo economico e aumento del carico demografico, vanno a braccetto. Risalgono agli anni '50 le prime teorie di Alfred Sauvy secondo cui l'incremento demografico è inversamente proporzionale al tasso di sviluppo dell'economia. Più un paese si sviluppa, più i figli sono un costo da sostenere. Più esso è arretrato, più i figli sono una risorsa per le famiglie che li spingono al lavoro fin dalla più tenera età. Sennonché questa semplice meccanica non è di per sé sufficiente ai fini di una spiegazione complessiva del fenomeno. Nel caso del Medio Oriente o del Nord Africa, siamo forse in presenza di scarsità di risorse dal punto di vista economico? Questo vale, semmai, per il Sud Est asiatico. Nei paesi che gravitano sul Mediterraneo si concentrano, invece, le più grandi risorse petrolifere del pianeta.
Certo, l'oro nero non è uniformemente distribuito, ma su base regionale rappresenta un vantaggio che non è stato utilizzato ai fini di uno sviluppo complessivo. Al contrario, ha dato origine al mantenimento di caste ristrette, dedite all'opulenza o alla grande speculazione internazionale, senza ritorno alcuno per il resto della popolazione.
L'integrazione deve essere accettazione reciproca Se l'immigrazione è subita, e non analizzata e capita, rischia di formarsi un pericoloso mix socio-economico, confuso, senza espliciti meccanismi regolatori, senza chiara visibilità economica. È quello che è avvenuto nel nostro paese, dove la migrazione è stata da sempre quasi tutta da offerta e dove gli immigrati che oggi sono regolari sono tali non perché arrivati in periodi in cui il mercato del lavoro domandava quel tipo di immigrazione, ma perché regolarizzati nel tempo attraverso sanatorie e decreti «flusso».
Che significa questa distinzione? Nel caso di migrazione da domanda prevalgono i lavoratori dipendenti. Essi hanno alta propensione alla stabilità e trovano di fatto nei paesi ospitanti esplicite strategie assimilative: lingua, scuola, casa, modelli culturali, ecc... Questi flussi di immigrati entrano così nel ciclo sociale delle economie di destinazione attraverso il lavoro. Al contrario, nel caso di migrazioni prevalentemente da offerta la ragione del movimento risiede nelle condizioni socio-economiche dei paesi di origine. Non esiste, quindi, nessun attrattore capace di selezionare i flussi. I settori di arrivo non saranno quelli centrali manifatturieri, ma quelli marginali-interstiziali-maturi. Ci sarà alta propensione al lavoro autonomo, alla clandestinità e al lavoro sommerso. Ne deriva, di fatto, una precarietà generalizzata, nessuna propensione alla stabilità e, soprattutto, nessuna strategia assimilativa da parte della società di destinazione. Da qui conflitto, razzismo e mancanza di risorse per casa, scuola, lingua, welfare state , ecc...
L'Italia oggi è lasciata sola a far fronte a un fenomeno che è impossibile gestire. La sua collocazione geografica ne fa una testa di ponte naturale: una calamita che attira l'esodo di massa, frutto, come abbiamo visto, delle contraddizioni non risolte di paesi martoriati. Siamo giunti al punto che anche l'Onu è costretta a riconoscere che il fardello che oggi porta il nostro paese ucciderebbe un gigante. E l'Italia, nella realtà europea, tutto è meno che un gargantua, se pensiamo, per esempio, che il nostro tasso di crescita è il più basso di tutta l'eurozona. Ma sulle nostre richieste d'aiuto i nostri partner continuano a glissare. Dopo l'avallo dell'Onu, però, bisogna passare all'azione. L'Europa cincischia? Allora ricorriamo ad altri strumenti. Sottraiamo dal contributo che ogni anno versiamo a Bruxelles, pari a poco meno di 16 miliardi di euro, il costo che sosteniamo per far fronte a un'emergenza che è di tutta l'Europa. E vinceremo anche il premio Nobel per la pace.
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