quinta-feira, 11 de agosto de 2016

I segreti dei 'pozzi' di Palazzo Ducale a Venezia, tornati alla luce gli affreschi di Riccardo Perucolo

ANSA
PALAZZO DUCALE, LA CAPPELLA SISTINA DELLE PRIGIONI ANTICHE © Ansa



Testo e foto di Andrea Merola

Negli anni ottanta del '900, durante i restauri ordinari delle celle delle prigioni di palazzo Ducale, sul soffitto e le pareti del camerotto numero X (dieci alla romana), nelle prigioni sotterranee dette "i pozzi", apparvero nascosti sotto uno strato di calce e sporcizia dei graffiti, che a differenza di altri, diffusi nelle celle adiacenti, davano subito l'idea di un complesso pittorico vero e proprio, tracciato da mani esperte, ispirato ad una "sacra conversazione" tra santi e la Vergine, secondo i modelli dell'arte raffigurativa veneziana del cinquecento. Una Vergine con in braccio il Bambinello, attorniata da San Rocco, San Benedetto e San Sebastiano, sulla parete opposta della cella un Cristo crocefisso è sovrastato dalla figura di un angelo, seppur annerito dallo sporco e probabilmente dal denso fumo di un lume ad olio.

Dalla ricostruzione dello storico dell'arte veneziano Giandomenico Romanelli, nel giugno del 1549 venne carcerato, nella cella n.x, su ordine dell'Inquisizione, tale Riccardo Perucolo, "frescante" cioè pittore di affreschi, di Conegliano. I giudice del Sant'Uffizio, agli ordini dell'allora Nunzio vaticano in Venezia monsignor Giovanni Della Casa, l'autore del celebre Galateo, lo accusano di eresia luterana. Il pover'uomo, spaventato dalla tortura e ancor di più dall'orrendo stato di carcerazione nei pozzi, al buio, nella fredda e nauseabonda umidità di una cella claustofobica, confessa e abiura, e come atto di buona fede, si dichiara pronto a realizzare un dipinto a parete che raffiguri la Vergine e i Santi, a consolazione dei detenuti ammalati, poichè il Perucolo era a conoscenza che quel camerotto n. x sarebbe stato trasformato in infermeria, non tanto per carità cristiana, ma per evitare che qualche morbo dalle prigioni si diffondesse in città. Pare pertanto che, accolta la supplica, il pittore iniziò il lavoro, ma non lo terminò, perchè, rimesso in libertà, fu condannato a recitare penitenza, indossando il saio e con la corda al collo, alla messa domenicale, nel duomo di Conegliano, per diciotto mesi.

Quell'abbozzo di figure venne poi ricoperto con la calce, per disinfettare la cella, e rimasero così nascoste per cinque secoli. Dell'oscuro pittore di Conegliano conosciamo la fine: in oblio per vent'anni, sotto un'apparente devozione alla Chiesa Romana in realtà egli continuava il suo apostolato per la Chiesa Riformata, ricevendo carteggi e catechismi dall'ex vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio, rifugiatosi in Svizzera dall'Inquisizione e acerrimo avversario dottrinale proprio del monsignor Della Casa. Riccardo Perucolo morirà sul rogo, in piazza del Mercato a Conegliano, all'inizio del 1568.

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