quarta-feira, 9 de dezembro de 2009

Al Nord la prima centrale Il dossier porta al Veneto


ROMA — «Se potessi scegliere dove mette­re una centrale nucleare me la metterei nel giardino di casa». Parola di Claudio Scajola. Peccato che la casa del ministro dello Svilup­po economico si trovi in Liguria, regione che non avrebbe neanche un centimetro quadrato idoneo a ospitare un impianto atomico. Figu­riamoci un giardino. Per giunta la Liguria, go­vernata dal centrosinistra, è una delle dieci Re­gioni che hanno fatto ricorso alla Consulta contro la legge 99 con la quale il governo ha riaperto la strada al nucleare. Una iniziativa che, visti i precedenti, può rappresentare un ostacolo serissimo a tutta l'operazione.

Intanto il tempo passa. Ed è sempre più vici­na la scadenza del 15 febbraio, data entro cui dovrebbero essere pronti i quattro provvedi­menti del governo necessari per poter costrui­re le nuove centrali. Serve una delibera del Ci­pe che dirà quali tecnologie si potranno impie­gare, e probabilmente saranno ammesse tan­to la francese (Epr) che l'americana (Ap 1000). Serve un decreto che dica dove si farà il depo­sito delle scorie, ed è un problema mica da ri­dere. Serve un decreto per decidere le compen­sazioni economiche per gli enti locali che acco­glieranno gli impianti. Serve, soprattutto, il de­creto sulle localizzazioni: un provvedimento che stabilirà non dove si possono fare, ma do­ve «non» si possono fare le centrali. Sulla base di questa mappa «al negativo», l'Enel e chi al­tro vorrà realizzare un impianto avanzerà pro­poste all’Agenzia per la sicurezza nucleare. Che dovrà dire sì o no.

Soltanto a quel punto si potrà avere l’elen­co dei siti. Da mesi circolano tuttavia presunte liste nelle quali figurano i luoghi dove erano già presenti i vecchi impianti. Oppure dove era stata avviata la costruzione di centrali quando, nel 1987, il referendum antinucleare bloccò tutto. Il quotidiano Mf ha rilanciato ie­ri i nomi di Trino vercellese, Caorso, Montalto di Castro, Latina e Garigliano: quelli di 22 anni fa. E sempre ieri il presidente dei Verdi Angelo Bonelli ha rivelato la dislocazione dei siti a sua conoscenza. Quali sarebbero? Gli stessi, più Oristano, Palma (in Sicilia, Agrigento) e Mon­falcone. Località considerate idonee da trent’anni. Risale infatti al 1979 la mappa ela­borata dal Cnen sulla base di alcuni parametri come il rischio sismico, la presenza dell’ac­qua, il tasso di urbanizzazione, l’esistenza di infrastrutture. Parametri che da allora posso­no essere anche molto cambiati. La portata idrica del Po, per esempio, non è più quella del 1979. Molte aree poco urbanizzate sono og­gi iperabitate. E anche la carta del rischio si­smico, con il progresso delle tecniche d’indagi­ne, potrebbe riservare tante sorprese.

Senza considerare che la scelta dei siti «ido­nei » non spetta formalmente all’Enel, che può soltanto proporli, ma all’Agenzia per la sicu­rezza nucleare che ancora dev’essere costitui­ta. Non che qualche idea non ci sia già. Per esempio, un orientamento «politico» di fondo del governo: realizzare al Nord la prima delle quattro centrali previste dal piano. Dove, è dif­ficile dire. Com’è comprensibile, nessuno par­la: adducendo come motivazione la circostan­za che la mappa del 1979 è in fase di aggiorna­mento. Ma si sa, per esempio, che l’area non dovrebbe coincidere con quelle che hanno già ospitato un vecchio impianto atomico e que­sto porterebbe a escludere Caorso e Trino. Se il sito in questione dev’essere poi in prossimi­tà del mare, a causa delle sofferenze del Po, allora la ricerca si restringe. C’è la Toscana set­tentrionale con l’area di Cecina, città natale del ministro nuclearista Altero Matteoli, ma la regione è governata dal centrosinistra e ha già fatto ricorso contro la legge Scajola: la batta­glia sarebbe durissima. Nella mappa dei siti possibili figura anche l’isola di Pianosa, ma ol­tre ai problemi di cui sopra ci sarebbe la con­troindicazione del costo esagerato. Minori dif­ficoltà esisterebbero per la costa adriatica, in particolare quella Friuli Venezia Giulia e il del­ta del Po. Ma se la zona di Monfalcone è abba­stanza congestionata, il Polesine, area a una trentina di chilometri da Chioggia, lo è molto meno. Va ricordato che a favore della localizza­zione di una centrale atomica in Veneto si era già espresso il governatore Giancarlo Galan (uno dei pochi a non aver fatto ricorso alla Consulta) con riferimento alla conversione a carbone di Porto Tolle. Ovviamente contesta­to dagli ambientalisti.

Per ora, comunque, restiamo agli indizi. L’Agenzia, che ha potere decisionale, non è an­cora nata. Da settimane si attende la nomina dei suoi vertici: per la presidenza sarebbe ora in pole position il settantenne Maurizio Cu­mo, ex presidente della Sogin. Irrisolta resta anche la questione dei finanziamenti. L’Agen­zia dovrebbe avere un centinaio di dipendenti ma non una lira in più delle risorse già esisten­ti. Un emendamento alla finanziaria che le de­stinava 3 milioni di euro è stato bocciato in extremis dal Tesoro. E non si sa nemmeno do­ve avrà sede. Il ligu­re Scajola preme per Genova, mentre il suo collega venezia­no Renato Brunetta, che deve dare il pro­prio parere, punte­rebbe Slitta a dopo il voto la scadenza del 15 febbraio per i siti su Venezia.

Per non parlare degli altri problemi politici. Il primo di tutti: le prossime elezioni regionali. Una scadenza troppo importante per non far scivolare a una data successiva la presentazione dei decreti del governo, prevista entro il 15 febbraio. Alla luce di quello che sta accadendo, spiegano al ministero, quel termine dev’essere considera­to soltanto «ordinatorio». Se ne parlerà maga­ri in aprile, se non a maggio. E ci sarà anche più tempo per risolvere il problema delle sco­rie. Se la prima centrale dovrebbe essere fatta al Nord, sembra garantito che il deposito delle scorie sarà al Sud. A quanto pare non più nel sottosuolo, ma in superficie. Contando su una reazione più blanda delle popolazioni coinvol­te. Già. Ricordate Scanzano Jonico?


Sergio Rizzo
http://www.corriere.it/

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