quarta-feira, 3 de setembro de 2014

Saluzzo. La bella ai piedi del Monviso


di Giulia Stok

Alla scoperta dell'affascinante località del Cuneese. Ricca di storia e tradizione, con un centro storico ancora intatto e un magnifico punto di vista sulle Alpi




Il cavedano o cavasson risale la corrente con vigore e non si fida delle esche. Anche se abbocca, poi, a dispetto delle piccole dimensioni rende la sua pesca una battaglia faticosa, e infine, già cucinato nel piatto, persegue l'ultima vendetta dispiegando la sua incredibile concentrazione di lische. Nella sua tenacia si riconobbe, tanto da usarlo per nome e stemma, una famiglia borghese il cui rampollo Galeazzo riuscì a  diventare vicario generale del Marchesato di Saluzzo. Era l'epoca ricca e illuminata di Ludovico II: tra il 1475 e il 1504 il Marchese donò ai Cavassa un palazzo nel borgo storico arrampicato sulla collina, mantenne la pace, creò una vivace corte di artisti e intellettuali, fondò una scuola di chirurgia, promulgò rivoluzionari statuti sanitari e fece addirittura scavare un prototipo di traforo nel Monviso, il Buco di Viso, per facilitare i proficui scambi con la Francia. 

Siamo nella fertile pianura del cuneese, beneficata e insieme martoriata dal successo di un'agricoltura intensiva che l'ha costellata di capannoni industriali, a dispetto dalla splendente corona di Alpi innevate. Qui Saluzzo si staglia per eleganza e integrità del centro storico. Casa Cavassa, oggi museo civico, rispecchia in pieno quell'epoca di rinascita artistica che rese la cittadina vivace quanto una piccola capitale. Sul bel portale d'ingresso in marmo bianco spicca lo stemma di famiglia, accompagnato da motto Droit quoi qu'il soit (dalla possibile duplice traduzione: "avanti comunque sia" o forse "Diritto comunque sia", visto che i Cavassa amministravano la giustizia per conto del Marchese). Dal cortiletto a portico si gode di una bella vista su pianura e montagne, e ci si rende conto di come il palazzetto sfrutti la pendenza della collina per arrivare a sei piani complessivi. Sarà l'eredità dell'imbattibile Cavedano? Dalla balconata al primo piano si affacciano le Fatiche di Ercole negli affreschi monocromi del fiammingo Hans Clemer. Nelle curatissime sale si susseguono soffitti lignei dipinti, colossali camini, una preziosa Madonna della Misericordia attribuita sempre a Clemer, affreschi e arredi d'epoca (tra cui spiccano gli elaborati stalli lignei provenienti dal castello di Revello),  in gran parte portati qui da Emanuele Tapparelli d'Azeglio. Il nipote di Massimo infatti, seguendo il gusto ottocentesco per il restauro, recuperò da altre dimore o fece realizzare ex novo arredi e dettagli decorativi per ricostruire nel modo più completo possibile l'atmosfera di un'abitazione del 1400, che poi donò al Comune.  


Lasciata Casa Cavassa, in pochi passi si raggiunge San Giovanni, altra gemma cittadina. Fondata nel 1200, gestita prima dai Cistercensi, poi dai Domenicani infine dai Servi di Maria, è uno scrigno di gotico flamboyantcoi rilessi verdi della pietra di Sampeyre che invita alla contemplazione. Sotto le volte a crociera spicca il bel coro ligneo dell'abside, in cui è conservato anche il sepolcro di Ludovico II. Attigui, un semplice chiostro e una sala capitolare col mausoleo di Galeazzo Cavassa. Qualche merlo guardingo popola la piazzetta della chiesa, deliziosamente irregolare, stretta tra torre civica e un piccolo giardino.


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