Il procuratore di Palermo Pietro Giammanco con Giovanni Falcone, accompagnato dal capo scorta Antonio Montinaro, all'aeroporto di Palermo. 1991 (Ansa)
MILANO - «Gli apparati dello Stato devono essere lontani dal sospetto di legami di prossimità con le organizzazioni mafiose». Così Mario Monti a Palermo a vent'anni da quel 23 maggio 1992, quando alle 16.58, un'esplosione innescata da oltre mezza tonnellata di tritolo sotto l'autostrada Palermo-Mazara del Vallo, all'altezza del piccolo comune di Capaci, provocò un tuono il cui eco continua ancora oggi ad attraversare le memorie di un Paese che da quel giorno non è più lo stesso.
LA VERITÀ - Sotto la pioggia Monti sottolinea che «non bisogna mai stancarsi di cercare la verità sulle morti di Falcone». Quella voragine di trenta metri non uccise soltanto il giudice antimafia e la moglie Francesca Morvillo, e i tre agenti di scorta, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro, ma aprì soprattutto uno squarcio nelle coscienze ferite degli italiani, che in quel pomeriggio di primavera impararono a familiarizzare con la spietata strategia del terrore, che sarebbe durata oltre un anno, adottata dalla mafia per colpire al cuore le istituzioni con l'obiettivo di minarne la sovranità.
LE CELEBRAZIONI - «Non esistono ragioni di Stato che possano giustificare ritardi nella ricerca della verità» dice Monti. Infatti l'iter giudiziario di quelle vicende è lungo e complesso. Fatto da depistaggi e colpi di scena. Gli inquirenti ancora adesso indagano per accertare le responsabilità, avvalendosi tra l'altro della collaborazione di Gaspare Spatuzza. Proprio le sue parole potrebbero portare a una svolta. L'unica cosa certa è che l'esecutore materiale della strage di Capaci fu un commando composto da almeno 5 persone, tra le quali vi era il boss Giovanni Brusca: l'uomo che materialmente schiacciò il pulsante che fece detonare la bomba. Ma oggi è il momento del ricordo e la diretta video su Corriere.it da Capaci per seguire minuto per minuto le celebrazioni cercherà di aiutare a ricordare.
L'ITALIA - Il presidente del Consiglio, Mario Monti, parla nel Giardino della Memoria per inaugurare un monumento ai caduti nella lotta contro la mafia con accanto il ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri: «L'unica ragione di Stato è la ricerca della verità», ha sottolineato. «Da Falcone, sua moglie e la scorta, dal loro sacrificio, da quegli uomini dobbiamo ripartire ogni giorno nella lotta senza quartiere a tutte le mafie. Ognuno di noi è chiamato a questo impegno, a non dobbiamo pensare mai che le mafie siano imbattibili e a non anteporre mai interessi personali a quello della collettività». Poi ha aggiunto: «Il parlamento ha recentemente varato una prima riorganizzazione della normativa antimafia, ma è un lavoro che non si è completato. Su alcuni punti c'è l'impegno del governo ed è in stato avanzato». «Sappiamo - ha detto ancora Monti - che le mafie oggi sono molto diverse da quelle che Falcone aveva iniziato a contrastare sotto la guida di Chinnici. Hanno ricevuto e ricevono colpi molto forti dalla magistratura e forze di polizia. Ma sono state capace di reinvertarsi. Hanno moltiplicato i luoghi dove insediarsi tanto che oggi dobbiamo dire con forza che è puramente illusorio pensare di sconfiggere Cosa Nostra a Palermo, la 'ndrangheta solo a Reggio Calabria, la Camorra solo a Napoli».
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